Gli uomini primitivi per rappresentare il mondo e l’audacia necessaria per la sopravvivenza usavano la pietra. Lì, dentro le loro caverne, con i loro graffiti conservavano memoria della lotta, della caccia.
Da sempre l’uomo ha usato le pareti dei suoi “rifugi”, profani o spirituali che fossero, per rappresentare il mondo che stava fuori; pensiamo agli affreschi, alle grandi tele che esaltavano il prestigio di chi le possedeva.
La pittura stava prevalentemente “dentro”, per rappresentare ciò che stava “fuori”. Ma oggi non è più così. Non solo sulle tele si rappresentano mondi immaginari, pensiamo per esempio all’impulso che diedero in tal senso i Surrealisti nei primi del Novecento, ma la pittura è uscita fuori dalle case e dalle chiese, finendo per le strade, come ha fatto la Street Art. I murales hanno fatto rivivere interi quartieri e aiutato a togliere dall’anonimato e dallo squallore, gruppi sociali, a cui sono riusciti persino a dar voce.
Oggi, dove sta andando la pittura?
Scrive sul suo lavoro Mariuccia Roccotelli in “Ricami e ritagli”: «Tela su tela, ricami e ritagli della più tradizionale delle superfici. La pittura diventa taglio, il segno del pennello non basta più: è come scolpirla, la pittura. Il caso si sovrappone al razionale, al misurare minuziosamente il peso degli elementi: pesci, onde, alberi, profili di donna che guardano la luna, paesaggi urbani e mondi sommersi, immersi, profondi. Perché non solo pittura? Mi interrogo sul motivo per cui dedico ore ed ore ad un gesto sartoriale. Sto creando decorazioni o posso considerarla Arte? Arte è la meta, la ricerca è certamente infinita. Forse non c’è un punto di arrivo, dimentichi tutto e basta vivere il divenire, basta esserci nel percorso che fai, per raggiungere il punto più vicino a quella meta.
Nell’ideale l’Arte è bianco, puro e semplice, è pathos, è respiro; in questi lavori c’è tanto, troppo racconto, lo so, ma… non posso ancora fermarmi…».
Come scrive l’artista: «l’Arte è bianco… è respiro»; ma quel respiro, quell’essenza che anima, che dà emozione, è un traguardo che sembra possibile dopo aver esternato tutto il troppo, ciò che va al di là di un confine. Dice molto questo sull’Uomo contemporaneo che vive nell’eccesso, in piena coscienza, eppure sembra non riesca a farne a meno. Allora l’artista si interroga sull’arte, sul troppo, sull’eccesso di cose da dire e da fare. Il suo fare arte, che definisce “sartoriale”, ricorda antichi lavori di tessitura, in cui le donne ricamavano insieme corredi, vivevano momenti di evasione e, come furbe Penelopi, modificavano il trascorrere del tempo allontanando la paura della fine. Nel lavoro di Roccotelli c’è molto di questo fare femminile e, se vogliamo, potremmo vederci una reinterpretazione del senso della tela tagliata di Lucio Fontana, che tanto rivoluzionò l’arte nel Novecento, aprendoci nuove e provocatorie dimensioni possibili. I pieni e i vuoti ritagliati di Mariuccia Roccotelli non sono squarci, ma forme riconoscibili: usa la tela non solo come supporto del suo dipinto, come “porta” per un mondo possibile, ma come materia plasmabile, come teatri del divenire, teatrini del mondo, in cui anche chi guarda può cambiare la scena.
L’artista tradisce così la sua professione di scenografa che l’ha tanto vista impegnata in televisione a costruire “teatrini” per Topo Gigio. In questo approccio e uso della tela è come se esprimesse il bisogno di superare quella visione bidimensionale e piatta della raffigurazione del mondo. Oggi siamo assuefatti a cose che perdono sempre più il loro corpo: ogni giorno immagazziniamo una sovrabbondanza di immagini provenienti da computer, cellulari, televisione, foto, cartelloni pubblicitari e carta stampata.
Mariuccia Roccotelli, in questi lavori, tratta l’immagine cercando di darle sempre una tridimensionalità, un corpo, tradendo un desiderio di restituire alle cose del mondo, gravità, peso, valore, temporalità.
Il mondo di Mariuccia Roccotelli è onirico, dipinge visioni interiori, elaborazioni di ciò che sta “fuori”, mettendo in relazione cose ben precise: il paesaggio umano, antropico, rappresentato dalle case, e quello naturale, con un filo conduttore ricorrente che è la figura femminile; il tutto, seguendo un movimento ondulatorio quasi vorticoso, visibile anche nelle pennellate, tanto da dedicare a questo movimento una serie di opere intitolata “Vortici”.
Nei suoi quadri tutti questi elementi si compenetrano: l’acqua si confonde con il cielo, le case nuotano nello spazio come pesci nell’acqua e fuor d’acqua, la Terra si rivela fertile come il corpo di una donna e in ogni suo dipinto la Natura è nell’Uomo e l’Uomo è nella Natura. Si tratta di un tema importante oggi, perché l’Uomo contemporaneo deve necessariamente ripensare alla sua relazione con il mondo Naturale.
L’artista forse ci suggerisce una strada possibile. I suoi lavori spesso sono il risultato di un insieme: ogni piccola tela, è concatenata all’altra, è dipendente dall’altra, tanto da presentarsi come una composizione. È come se ci dicesse che non importa quanti siano i singoli individui che guardano il mondo, quante siano le finestre che si aprono là “fuori”, perché è l’insieme che conta, o meglio, il tenere insieme questi frammenti, queste distanze, queste differenze.
Oggi ci sentiamo un po’ tutti pesci fuor d’acqua, le nostre certezze vacillano, come le case appese a un filo nei lavori di Roccotelli, ma questo destino è lo stesso dei pesci che appartengono ad un mondo diverso dal nostro: siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri. Ora sta a noi scegliere come navigare e agire.
Interessante è il modo in cui l’artista ci invita al fare, al gesto, perché permette allo spettatore di interagire con l’opera, cambiando la posizione di case e di pesci.
Cos’altro è, se non un invito all’azione? È lo stesso impulso che lei stessa esprime nella sua frenesia di “fare arte” e scrive: «…non posso ancora fermarmi»… e solo così spera di riuscire a raggiungere o avvicinarsi all’ideale, all’Arte con la A maiuscola che paragona al “respiro”.
Non credo sia un caso questa relazione tra l’Arte e il “respiro”. È importante notare che l’artista ha realizzato queste tele durante la pandemia da Covid-19, in un periodo in cui tutti siamo con il “fiato sospeso” e il futuro è improvvisamente diventato a breve termine.
Il mondo è cambiato e sono emerse tutte le nostre più ancestrali paure. Ci spaventano: la pandemia, i cambiamenti climatici, le tensioni in Medio Oriente, le grandi lobby, l’eccesso del profitto a scapito del valore della vita e, mentre cerchiamo di trovare soluzioni, tutto corre sempre troppo veloce per poter godere dei benefici delle risposte.
Come scrive Mariuccia: «Forse non c’è un punto di arrivo, dimentichi tutto e basta vivere il divenire, basta esserci nel percorso che fai, per raggiungere il punto più vicino a quella meta».
Ecco il punto. La strategia di sopravvivenza che ci suggerisce l’artista è quella dei piccoli passi, quella del fare; e cos’è l’arte, se non questo!
Pensiamo all’origine di questa parola, che deriva dalla radice ariana “Ar” ovvero “movimento” e dà origine alla parola “Arm” che, in inglese significa “braccio”, arto.
L’arte, potremmo aggiungere, è quell’attività necessaria per aiutarci a fare un salto nel possibile e quindi nel futuro; del resto, non può esistere futuro senza creazione, senza vita.
È forse per questo che nelle opere di Mariuccia Roccotelli la donna è manifesta, dichiarata e quasi ridondante. C’è sempre una donna‐madre, che si nasconde e rivela nelle sue tele a rappresentare il potere vitale dell’acqua, della luce, a ricordarci la sua capacità seduttiva. Una donna madre-terra che guarda, che protegge, che supporta, ma che sa anche punire.
Chissà, forse, quel profilo di donna, è la stessa artista che guarda con speranza il farsi e disfarsi del mondo.
Guardando i suoi quadri forse anche noi riusciamo a sognare.
Melina Scalise
Fondatore e curatore
Casa Museo Spazio Tadini